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Il museo di storia naturale del Vulture è situato nel primo e nel secondo livello dell’Abbazia la cui costruzione ha attraversato i secoli a partire dello svilupparsi del culto micaelico. Il primo ambiente è l’ingresso di servizio per gli animali. Al suo interno troviamo la mangiatoia e alcuni degli attrezzi usati per il lavoro nei campi e ma anche la prima mappa disegnata del Vulture commissionata da Giustino Fortunato e realizzata da Angiolino Fusco nel 1883. Vi è conservato anche il biroccio marchigiano testimonianza diretta della presenza in questi luoghi dei fratelli Ubaldo e Annibale Lanari, venuti dalle Marche in seguito all’acquisizione di 5000 ettari di terreno nella selva di Monticchio. I fratelli Lanari sono stati i primi a far fruttare in senso commerciale questo posto lavorando con idroelettricità, legname e acqua e fondando di fatto gli insediamenti di Monticchio Bagni e Monticchio Sgarroni.
Questo oggetto ha lavorato per anni e veniva usato anche per portare in processione nelle feste di paese la statua del santo.

Il cammino dell'uomo

Parlando del vulture non possiamo non parlare di Federico II di Svevia che ha governato questo territorio dal 1211 al 1250. L’imperatore costruì il castello di Lagopesole e emanò a Melfi il “Liber Augustalis”, noto anche come le Costituzioni di Melfi. L’imperatore era un grande amante della caccia con il falco. La caccia con il falco per Federico rappresentava un simbolo di potere. Ci piace pensare che l’imperatore, ospite dei monaci Benedettini, venisse a cacciare in queste foreste. La valle di Vitalba a sud del monte Vulture nel pleistocene, circa seicentomila anni fa, era un grande lago dove vivevano l’elefante europeo, la tigre dai denti a sciabola, i bisonti e i rinoceronti. In questi ambienti, oltre gli animali, c’era anche la presenza dell’ HOMO ERECTUS che era dedito soltanto alla caccia e alla raccolta di frutti selvatici.
La grotta in località Toppo dei Sassi nel comune di Filiano rappresenta il momento, nella storia dell’evoluzione dell’uomo, di costruire una vita più stanziale. Le pitture rupestri dipinte con le punta delle dita con una terra ocra scura non sono altro che raffigurazioni di cacce e di vita quotidiana, le pitture sono risalenti a 9 mila anni fa.

La via di Fauna

Dal Vulture, Federico II di Svevia trasse l’ispirazione per la scrittura del “De Arte venandi cum avibus”. Tra i boschi e le radure erano catturati i rapaci da addestrare alla caccia. Molti orsi utilizzati nei circhi romani provenivano da quest’area naturale, incrocio delle vie Erculea e Appia. Alcuni scavi archeologici hanno portato alla luce numerosissimi fossili che offrono un panorama diversificato e interessante di una fauna ormai scomparsa: dei cervi sono rappresentati da un cacciatore mesolitico nel sito denominato Serra Pisconi, mentre nel Pleistocene superiore elefanti, ippopotami e tigri dai denti a sciabola dimorarono in questi luoghi, contemporaneamente all’Uomo di Atella, tra i primi ominidi ad attuare la caccia grossa.

La via di Flora

Benvenuti nella Via di Flora, qui si racconta, almeno in parte, della grande biodiversità dell’ecosistema Vulture. A partire da un’esplorazione botanica guidata da Michele Tenore e Giovanni Gussone, avvenuta nel 1838, si segnalano due endemismi che contraddistinguono questo territorio. Una è il garofanino del Vulture, e l’altra, curiosamente, è un piccolo rappresentante della fauna ittica, ovvero l’alborella vulturina. La presenza di alcuni erbari arricchisce la descrizione del mondo vegetale. Degli acquari, invece, contengono alcune specie aliene invasive che minacciano l’equilibrio ecologico dei Laghi di Monticchio. A tal proposito è nato un progetto, dal nome Feamp-Alloctoni invasivi a Monticchio, che mira al contenimento dei danni causati da tali specie e che vede la collaborazione fra il Parco Naturale regionale del Vulture, Hydrosynergy e Ceas del Vulture.

La via di Gea

Il percorso che si snoda lungo la vi di Gea ci racconta un po’ della storia peculiare del Vulture, l’unico vulcano posto ad est della catena appenninica. Si tratta di un vulcano composito che iniziò a strutturarsi circa un milione di anni fa. È quiescente da circa 130 mila anni e la sua intensa attività tettonica ha portato alla creazione dei due laghi di Monticchio. Un “tappeto di lava” ci consentirà di lasciare le nostre impronte, come i calchi di Laetoli, straordinarie impronte di ominidi ritrovate in Africa, risalenti a 3 milioni di anni fa. Una collezione di rocce magmatiche ci mostra l’incredibile diversità di prodotti che si possono generare da attività vulcanica, alcune uniche, come nel caso dell’Haüyna di Melfi. Lungo la via dell’Uomo incontriamo alcune tracce lasciate dai primi abitanti di questi luoghi: delle sepolture e delle laure.
Luoghi sacri e di rifugio per una piccola comunità monastica proveniente dal mondo greco-orientale. Intorno al IX secolo si stabilirono nelle cavità naturali presenti lungo il costone roccioso della montagna, ampliandole e affrescandole, seguendo i canoni della “civiltà rupestre”.

Habitat e collezioni

L’elevata concentrazione di habitat, caratteristica peculiare del Vulture, viene racccontata in quest’area. L’accoglienza data da un giochino d’acqua e da teche ‘volanti’ ci introduce in un micromondo rappresentato da farfalle diurne e da alcuni coleotteri, testimoni delle prime forme di vita che si sono insediate sul territorio, man mano che l’attività vulcanica cedeva il passo ad un modellamento del paesaggio, che ad oggi ospita tanta biodiversità.
In uno spazio di pochi km quadrati, la caldera dell’antico vulcano vede la presenza di numerose specie vegetali, dalle taglie arboree a quelle arbustive ed erbacee. Se comunemente noi riconosciamo ad ogni piano altimetrico, da quello basale a quello montano, delle specie caratteristiche, nel Vulture ciò è completamente stravolto. I tanti microclimi presenti comportano un rimescolamento di specie montane con altre più strettamente mediterranee, determinando un variegato mosaico ambientale di grande interesse naturalistico. Questo tratto consente anche un focus sulle diverse tipologie di aree protette del Parco del Vulture, a partire da una specie simbolo degli ambienti poco disturbati, ovvero l’elusiva lontra europea. Per approfondimenti ed intrattenimenti tematici si può godere di un touchscreen, anche per i più piccoli.

Fragmenta. Il monastero di Sant'Ippolito di Monticchio

La mostra permanente chiamata “Fragmenta” è stata inaugurata nel novembre 2019 e contiene una parte dei reperti più significativi rinvenuti nell’area di scavo archeologico del monastero detto volgarmente “di Sant’Ippolito”. Le teche contengono vari oggetti di uso comune realizzati probabilmente in loco a partire dal IX-X secolo d.C. o riferibili a scambi commerciali che avvenivano nelle fiere organizzate dai monaci in più occasioni nell’arco dell’anno. Si tratta principalmente di vasellame semplice o decorato, protomaioliche, oggettistica di uso comune e manufatti di pregiata lavorazione. Attraverso specifici indicatori di produzione, si ipotizza che nell’area fossero presenti opifici per la produzione e lavorazione di vetro, bronzo, ferro e ceramica. Completano l’esposizione alcune tipologie di monete di varie epoche, dal periodo bizantino a quello federiciano, angioino e aragonese.


La culla della Bramea

La bramea europea (Acanthobrahmea europaea) è una falena appartenente alla famiglia delle Brahmaeidae scoperta per la prima volta sulle pendici del Vulture nel 1963 dal conte Federico Hartig, fondatore dell’Istituto Nazionale di Entomologia. Su segnalazione dello stesso Hartig al fine di per proteggere adeguatamente questo prezioso endemismo e il suo peculiare habitat, nel 1971 è stata creata la Riserva Naturale Orientata di Grotticelle che comprende 209 ettari di territorio a ridosso del fiume Ofanto sul confine con la Campania. Si tratta della prima area protetta al mondo rivolta esclusivamente alla tutela di una farfalla. Il Museo del Vulture ha scelto di dedicare il suo logo alla Bramea Europea e una sezione del museo è interamente incentrata sul ciclo biologico della peculiare falena del Vulture.